Kant

La funzione rivoluzionaria del pensiero di Kant

Kant è uno dei massimi esponenti del pensiero occidentale, a cui ha dato un'impronta nuova segnando una vera e propria svolta nel panorama filosofico moderno. 
Egli capovolge i rapporti tra soggetto e oggetto nell'ambito del processo conoscitivo, assegnando un ruolo fondamentale al primo nell'elaborazione dell'esperienza.
nelle sue opere l'autore esamina le condizioni che rendono possibile la conoscenza, l'agire etico-politico e l'esperienza estetica. La serietà e il rigore della sua analisi si possono cogliere, oltre che dai contenuti, anche dall'atteggiamento di fondo che la connota, ossia dall'idea secondo cui la filosofia è un'attività di ricerca che non dà nulla per scontato e che sottopone tutto al vaglio critico della ragione, a cominciare dalle stesse facoltà del ragionamento.

Due fasi del suo pensiero

La prima fase del pensiero di Kant viene definita "precritica", in questo periodo Kant si forma sui testi dei razionalisiti e degli empiristi.
La seconda fase è definita del "criticismo". Nel 1781 Kant dà alle stampe la prima edizione della Critica della ragion pura, ma che non viene accolto con favore dal pubblico, anche a causa della difficoltà del linguaggio, in più punti decisamente oscuro e complesso. Negli anni seguenti, che caratterizzano questa fase, Kant si dedica totalmente allo studio, seguendo uno stile di vita ritirato e schivo, alieno da ogni manifestazione di simpatia e apertura verso gli altri: il grande impegno teorico assorbe ogni energia del pensatore e lo isola dal resto del mondo.

Il problema della conoscenza nella Critica della ragion pura

Nella Critica della ragion pura si afferma che occorre condurre un'analisi sui fondamenti della coscienza al fine di appurare quali sono le condizioni di possibilità della scienza e capire se è possibile una metafisica come scienza, a questo scopo si analizzano le proposizioni della scienza -> i giudizi.In quest'opera si sostiene che i giudizi si distinguono in tre tipologie:
  1. Analitici → in essi il predicato esplicita solo il contenuto del soggetto e possiedono universalità e necessità ma non accrescono il sapere;
  2. Sintetici a posteriori → in essi il predicato aggiunge novità al soggetto ed accrescono il sapere ma sono particolari e contingenti;
  3. Sintetici a priori → accrescono il sapere (essendo sintetici) e sono dotati di universalità e necessità (essendo a priori).
Nei giudizi sintetici a priori possiamo distinguere:
  • l'aspetto materiale → le impressioni sensibili che il soggetto riceve passivamente dall'esperienza (a posteriori);
  • l'aspetto formale → le modalità (a priori) con cui la mente ordina attivamente le impressioni.
Questi due aspetti contribuiscono a formare la rivoluzione copernicana, dove non è la mente a doversi adeguare alla realtà, ma la realtà a doversi adeguare alle modalità conoscitive del soggetto.

L'opera La Dottrina degli elementi è suddivisa in:
  • Estetica trascendentale, che studia la conoscenza sensibile, la quale è passiva e attiva al tempo stesso, infatti riceve dall'esperienza i dati percettivi e li organizza attraverso due forme a priori: lo spazio, la forma del senso esterno, e il tempo, la forma del senso interno.
  • Logica trascendentale, suddivisa a sua volta in Analitica trascendentale e Dialettica trascendentale;
L'analitica trascendentale studia le facoltà dell'intelletto, consentendo di unificare le intuizioni sensibili sotto le 12 categorie. La legittimità della loro applicazione è giustificata con la deduzione trascendentale, secondo cui tutto il processo conoscitivo è fondato sull'io penso, il legislatore della natura, intesa come realtà fenomenica distinta dalla realtà noumenica.
la dialettica trascendentale, invece, studia la ragione, cercando di superare i limiti dell'esperienza attraverso:
  • L'unificazione dei dati del senso interno → idea dell'anima;
  • L'unificazione dei dati del senso esterno → l'idea del mondo;
  • L'unificazione dei dati del senso esterno ed interno → idea di Dio.

Il problema della morale nella Critica della ragion pratica

Nella Critica della ragion pratica si afferma che:
  • La legge morale è un "fatto della ragione" e ha la forma del "comando" perchè deve constatare la sensibilità e gli impulsi egoistici;
  • La ragion pratica coincide con la volontà che è la facoltà che permette di agire sulla base di principi normativi, che sono le massime, prescrizioni di carattere soggettivo, e gli imperativi, prescrizioni di carattere oggettivo. Essi sono a loro volta distinti in imperativi ipotetici e imperativi categorici.
  • L'azione è morale quando è compiuta solo in vista e per rispetto del dovere e se soddisfa il principio di universalizzazione, ampliato attraverso le tre formulazioni dell'imperativo categorico, che impongono di agire:
  1. <<soltanto secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi volere che divenga una legge universale.>>
  2. <<in modo da trattare l'umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo.>>
  3. in modo tale che <<la volontà, in base alla massima, possa considerare contemporaneamente se stessa come universalmente legislatrice.>>
  • La moralità richiede la conformità al dovere ma anche la convinzione interiore. In essa l'uomo si eleva al di sopra del sensibile e dalle leggi di natura, e su di essa si fonda la religione, infatti le principali dottrine religiose sono postulanti della ragion pratica, poichè l'esistenza di dio garantisce la possibilità del sommo bene e l'immortalità dell'anima garantisce la realizzabilità del sommo bene.

Il problema estetico nella Critica del giudizio

Nella Critica del giudizio si analizza la facoltà del sentimento (= facoltà del giudizio) intesa come organo dei giudizi riflettenti, i quali si distinguono dai giudizi determinanti (dell'intelletto), che determinano l'oggetto fenomenico unificando il molteplice attraverso le categorie dell'intelletto e si distinguono in giudizi estetici e giudizi teleologici.
Mentre si afferma che:
  • Il giudizio estetico nasce dal sentimento (di piacere o dispiacere), il quale è contemplativo, disinteressato e universale, infatti in tutti gli uomini esiste un senso comune il quale coglie l'accordo tra l'immagine della cosa e le nostre esigenze di unità e finalità, da questo si deduce che la bellezza non è nelle cose ma nel soggetto che le percepisce.
  • Il sublime è il sentimento dell'illimitato e si distingue in sublime matematico, il quale ha per oggetto la grandezza della natura, e sublime dinamico, il quale ha per oggetto la potenza della natura.
  • Il giudizio teleologico deriva da un'esigenza insopprimibile del soggetto, il quale è portato a supporre la presenza di un fine intrinseco nel mondo organico.



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