ERACLITO
Vita e opera
Eraclito è la prima figura di pensatore isolato che troviamo nella storia della filosofia greca. Nasce a Efeso in Asia Minore, e raggiunge la maturità attorno al 500 a.C.. Dal carattere altero e superbo, ostile al regime democratico della sua città (che aveva esiliato l’amico Ermodoro), si ritira nel tempio di Artemide dove vive in contemplazione e in isolamento. Qui scrive un libro intitolato "peri physeos" (lo stesso nome dei trattati dei pensatori di Mileto) nel quale espone il suo pensiero. I circa cento frammenti che sono giunti a noi sono laconiche sentenze, più propriamente aforismi, scritte in uno stile ambiguo e oracolare. E l’intera opera fu composta con questo stile. Persino Socrate ne disse: "Ciò che si comprende è eccezionale, per cui desumo che anche il resto lo sia, ma per giungere al fondo di questa parte bisognerebbe essere un tuffatore di Delo". L’ambiguità e la complessità di questo libro valsero ad Eraclito il soprannome di "skoteinòs", l’oscuro. D’altronde, il filosofo di Efeso non scrisse questo libro per divulgare il suo pensiero, ma lo destinò ai suoi pochi discepoli, poiché, d’accordo col suo carattere aristocratico e sdegnoso del volgo, "gli uomini sono privi d’intendimento e, pur avendo prestato orecchio, assomigliano ai sordi". Eraclito muore di idropisia nel 480 a.C..
Il logos
Eraclito è il primo filosofo
che assume l’uomo come elemento determinante della ricerca filosofico.
Infatti, l’uomo deve cercare la verità dentro di sé ma la maggior parte
degli uomini, non riuscendo a sentirla, si lascia ingannare dalle apparenze
e si muove con indifferenza e in modo superficiale nel mondo in cui si
trovano, incapaci di comprendere le verità anche quando si imbattono in
essa: "Ma agli altri uomini (ovvero coloro che non colgono
la verità) rimane celato ciò che fanno da svegli, allo stesso modo
che non sono coscienti di ciò che fanno dormendo". Allo stesso modo sono da criticare i sapienti del
tempo perché colpevoli di polymathia (conoscenza in vari settori):
esplorando vari campi del sapere umano, peccano di superficialità senza
cogliere la verità. A questo genere di persone vengono relegati Omero,
Archiloco, Esiodo ed Ecateo. Colpa ancora più grave quella di Pitagora,
che pur essendo un filosofo non ha dato ascolto alla verità, ed è perciò
considerato "l’iniziatore della schiera di coloro che ingannano con
le loro chiacchiere".Eraclito usa il termine logos per indicare la verità, la legge generale del cosmo, l’armonia alla quale obbediscono sia il mondo naturale che l’uomo. È legge divina, legge universale e principio naturale interno alla physis, secondo il quale tutte le cose nascono e muoiono. È l’unità sottostante all’apparente molteplicità del mondo naturale ("Ascoltando non me, ma il logos, è saggio convenire che tutto è uno").
La seconda accezione di logos, che ha l’equivalente latino in ratio, è la ragione umana, l’intelletto a tutti comune che spiega e comprende la legge universale.
L’ultimo significato, il più comune, è "discorso, parola". Probabilmente, nell’opera di Eraclito, è la sua parola, la sua dottrina filosofica, che attraverso la ragione umana spiega la legge universale. Il logos si esprime attraverso il noùs, l’intelletto, senza il quale non avrebbe significato. Parola, ragione e realtà sono perciò strettamente collegati fra di loro, e per questo Eraclito usa lo stesso termine: il logos (parola) descrive attraverso il logos (la ragione umana) il logos (l’armonia dell’universo). Dalla polisemia di questo termine proviene la difficoltà dell’interpretazione dei frammenti di Eraclito. Da notare che il compito della spiegazione è affidato alla parola, e non alla lingua scritta, in un epoca in cui l’oralità ha la prevalenza nella trasmissione del sapere.
La realtà a causa della lotta dei contrari è in perenne trasformazione. Questo divenire cosmico proviene dal fatto che ogni contrario tende a trasformarsi nel suo opposto: "questi infatti mutando son quelli e quelli di nuovo mutando son questi". Il mondo si trasforma secondo una legge interna, il logos."Nello stesso fiume non è possibile scendere due volte" e "Acque sempre diverse scorrono per coloro che s’immergono negli stessi fiumi". Il fiume nel quale ci si tuffa in due momenti diversi è lo stesso fiume, ma l’acqua non è più la stessa. È e non è lo stesso allo stesso tempo, secondo l’incessante legge del divenire causata dalla lotta dei contrari. "pantha rei", tutto scorre. Eraclito è quindi il filosofo del divenire per eccellenza.
Il fuoco
Simbolo di questo incessante
cambiamento e dell’armonia di questa vitalità è il fuoco. Esso è un elemento
vivo e in continuo movimento, capace di distruggere e trasformare ogni
cosa. È sempre diverso ma sempre uguale. A seconda delle interpretazioni,
il fuoco può essere il simbolo di questa legge del divenire (come sembrerebbe
dal frammento 30) che "giudicherà e condannerà tutte le cose"
o, ricollegando Eraclito alla scuola di Mileto, può essere considerato
l’arché. Il fuoco raffreddandosi diventa acqua e poi terra, poi
si riscalda di nuovo e diventa acqua e poi fuoco, in un ciclo sempiterno.
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